Ogni essere umano è un libro
di Massimo Recalcati
[…] Al tempo stesso voltando le pagine dei libri che leggiamo cerchiamo anche quello che non abbiamo mai visto, né saputo, cerchiamo, voltando la pagina, l’incontro con l’ignoto. È la doppia direzione che segue la pratica della lettura: per un verso cerchiamo nel libro la nostra stampata originaria — il nostro copione, il poema che siamo — e, per un altro verso, ricerchiamo la pagina inedita che non siamo mai stati. In altre parole, per voltare la pagina di un libro bisogna riconoscersi in quello che leggiamo e, al tempo stesso, perderci in quello che leggiamo.
Il trauma è ciò che ci impedisce di voltare la pagina perché impone la lettura di un’unica pagina, perché riduce la bellezza del libro a una sola pagina. Mio padre, ragazzo ai tempi del fascismo, leggeva solo libri della Seconda guerra mondiale. Non esistevano per lui altri libri. Il trauma aveva ridotto il mondo dei libri a una sola pagina. Ogni volta che la vita subisce una ferita non tende a passare oltre, a voltare pagina, a dimenticare la ferita, ma piuttosto a ripetere la ferita. Non nonostante sia una ferita, ma proprio perché è stata una ferita. Siamo davvero fatti per cambiare, per voltare pagina? Non esiste forse un’attitudine dell’uomo a ripetere sempre lo Stesso, una resistenza a voltare pagina? Perché ogni volta che si volta pagina qualcosa muore. Voltare pagina significa morire? Oppure dimenticare? Cancellare il nostro passato? La lettura non è forse una pratica della memoria?
In qualunque attività umana la creatività non sorge mai dal nulla, ma eredita una storia, un passato. Si può voltare pagina solo se si sono lette le pagine che hanno preceduto il nostro gesto di procedere in avanti, di continuare la lettura del libro. Il passato non ha un significato dato per sempre; il significato del passato dipende da chi lo legge ora, adesso, nel tempo presente. Noi siamo responsabili non solo di quello che avverrà, ma anche di quello che è già avvenuto. Possiamo, per esempio, negare l’esistenza dell’Olocausto o assumerne tutto l’orrore. La nostra scelta significa il passato in modo profondamente diverso. È la responsabilità della nostra lettura che determina il senso del passato e non il senso del passato già costituito a determinare il senso della nostra lettura. È voltare la pagina del libro che dà senso alle pagine precedenti.
Ogni libro, come ogni esistenza, non è fatta però solamente dalle pagine già scritte e lette ma da quelle che devono ancora venire. Sono queste pagine che daranno senso alle pagine che vengono prima. In questo senso l’ultima pagina è quella che chiudendo la storia, rendendola davvero finita, scritta per sempre, risignifica tutte le pagine precedenti. Ma allora l’ultima pagina sarebbe quella che renderebbe impossibile voltarne altre? Sappiamo che tutti i libri che sono già stati letti restano in qualche modo ancora presenti nei racconti dei libri che non abbiamo ancora letto. Se il nostro libro — il libro della nostra esistenza — è terminato, se si è definitivamente chiuso, questo non significa che le sue pagine non possano essere ancora voltate da lettori sconosciuti. Non esiste, infatti, in nessuna parte del mondo un libro capace di contenere tutti i libri, non esiste per principio il Libro dei libri. Anche l’ultima pagina non sarà mai allora davvero l’ultima. Le parole resistono al dominio insensato della morte. Non è mai il tempo dell’ultima parola perché non tutto è morte. Sono solamente le parole che verranno a resuscitare o a far morire le parole che abbiamo pronunciato. È il nostro modo di ereditare le parole che vengono dal passato a farle vivere ancora o spegnerle per sempre. Ogni volta che voltiamo una pagina decidiamo il nostro passato perché facciamo esistere il nostro avvenire.
La Repubblica, domenica 15 novembre 2020
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“Siamo davvero fatti per cambiare, per voltare pagina?”
Durante una terapia familare di una famiglia fortemente conflittuale al suo interno fra i figli e i genitori e ancor di più fra gli stessi fratelli propongo una seduta con i tre figli. Uno di loro mi scrive: “Ci siamo detti ciò che pensavamo, ora voltiamo pagina, se è possibile, perché sotto un certo aspetto non lo credo possibile. Comunque io ci spero”. Ho inteso questo ora voltiamo pagina come un non tener più conto, un cancellare quanto successo fino allora e che ha fatto male a tutti.
Ma non si può non tenere conto delle altre pagine del nostro romanzo familiare e di quanto contenuto, che in parte ci appartiene perché scritto da noi, ma in parte scritto da altri. Gli autori della nostra storia sono più di uno, compreso noi, e tutti hanno scritto pagine, lasciato tracce, ognuno all’insaputa degli altri e di noi stessi. Ci sono pagine scritte dal padre, altre scritte dalla madre e di quanti sono stati a stretto contatto con noi.
Ma arriva un tempo in cui o per necessità, o per curiosità, o per desiderio sentiamo il bisogno di leggere o rileggere il libro della nostra storia per una maggiore consapevolezza di noi stessi. E scoprire così che siamo poliedrici, ognuno vede di noi solo quella faccia con cui ci identifica, ma anche noi stessi ne vediamo solo una, la nostra identità, meravigliandoci magari se gli altri ne vedono un’altra. Perciò il sentire il bisogno di voltar pagina per capire meglio il nostro passato, quali sono le nostre origini, e proiettarsi in un futuro non scritto.
Ma è anche vero che abbiamo paura a voltar pagina, c’è una resistenza ad andare verso l’ignoto, specialmente quando l’ignoto si presenta sotto le vesti di una sofferenza psichica improvvisa e sconosciuta. Il più delle volte si tende a convivere con questa sintomatologia fino ad arrivare al proprio limite di tolleranza, oltre il quale è meglio chiedere aiuto.
Voltare pagina è un programma impegnativo, è scrivere assieme altre pagine di storia familiare e indivuale, ridefinire le relazioni del sistema familiare, assumere altri occhi per saper rileggere in modo nuovo pagine già scritte. “Ogni volta che voltiamo una pagina decidiamo il nostro passato perché facciamo esistere il nostro avvenire”.
Perciò voltare pagina è anche una scommessa sul nostro avvenire, su quale strada andare avanti o restare immobili. È qui che siamo autori del nostro libro, nostra è la scelta di voltar pagina e non semplice accadimento di cui non ci sentiamo responsabili. Voltare pagina allora significa cercare e avere maggiore senso di noi stessi, della nostra vita e della vita di relazione con quelli che ci sono più prossimi. E, perché no, lasciare una traccia di noi stessi più comprensibile e in cui i nostri familiari possano riconoscere una parte di eredità preziosa e così farla propria, rileggere la nostra storia e conoscere maggiormente se stessi.
Le nostre origini vengono da lontano e vivono nel futuro.
“Sono solamente le parole che verranno a resuscitare o a far morire le parole che abbiamo pronunciato”
È questa del libro e del voltar pagina una bellissima metafora, forse migliore di quella della strada con un bivio…
“È la responsabilità della nostra lettura che determina il senso del passato e non il senso del passato già costituito a determinare il senso della nostra lettura. È voltare la pagina del libro che dà senso alle pagine precedenti.”
E’ prorio così, Cristina, anche se voltar pagina non ci dà certezze, è pur sempre un ignoto. L’unica certezza disponibile è la libertà di poter decidere sulla propria vita con responsabilità e senza paura. Con questa certezza ricominciamo ad esplorare il mondo esterno e il nostro mondo interiore alla ricerca di un benessere