Psicoanalisi come percorso reciproco di analista e analizzando – Endre Koritar[1]

Psicoanalisi come percorso reciproco di analista e analizzando 

Endre Koritar[1]

L’intervista di Franco Borgogno sulla «psicoanalisi come percorso reciproco di analista e analizzando» è una metafora affascinante per il cammino verso la conoscenza di sé che idealmente si sviluppa all’interno dell’analisi. Percorsi, viaggi e l’idea della ricerca di un oggetto ideale non sono certamente metafora rara in letteratura e in mitologia, né lo è il tragitto come allegoria della scoperta di sé. Nel Parsifal di Wagner, l’eroe parte alla ricerca del Sacro Graal, ma il suo vagare per il mondo non lo condurrà a buon esito, anzi lo deluderà fino al momento in cui, ritornato a casa, scoprirà che il Graal giace proprio lì, ossia dove il viaggio ha avuto inizio. La ricerca del Graal è così un percorso interiore e non esteriore. Nel Pellegrinaggio in Oriente, Herman Hesse narra di un gruppo di cercatori di verità che organizzano un viaggio mistico verso oriente ma falliscono la loro meta, in quanto i protagonisti pensano che l’illuminazione sia il raggiungimento di una destinazione concreta, di una fonte reale da rinvenire nel mondo, e non quindi una conquista di un «luogo interiore del sé», come Hesse spiega nelle ultime battute del suo libro per bocca del vecchio servitore Leo Gurdjieff nei suoi Incontri con uomini straordinari, Mann in La montagna incantata, Kubrick in 2001: Odissea nello spazio e altri ancora adottano infine la metafora del percorso come tramite allegorico per ritrarre l’uomo nella sua ricerca di senso, di verità, del proprio vero sé. Borgogno si trova dunque in ottima compagnia nell’affidarsi a questa classica metafora per raffigurare il lavoro psicoanalitico e parlarcene.

Borgogno, in particolare, sottolinea come questo percorso debba essere intrapreso da due persone e come comporti perciò, in realtà, due percorsi alla scoperta di sé: quello dell’analizzando e quello dell’analista. Ciascuna analisi implica di conseguenza non solo l’analisi del transfert ma anche l’analisi del controtransfert. L’Autore segue infatti Paula Heimann, che comanda di utilizzare il controtransfert quale strumento essenziale per un’approfondita esplorazione della mente inconscia dell’analizzando. Anche l’analista è così impegnato, congiuntamente all’analizzando, in un analogo cammino interiore volto a esplorare i rispettivi mondi interni.

[1] Prefazione “The Vancouver interview” di Franco Borgogno

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Commento

Sfogliando la mia libreria digitale, cercando altro, ritrovo questa Premessa al testo di Franco Borgogno: The Vancouver interview. La rileggo ancora, mi accorgo, incuriosito più di prima, che mi attrae come se la leggessi la prima volta. E mi sento di condividere e riconoscere la verità del titolo, pur non essendo io psicoanalista, ma psicoterapeuta sistemico familiare, che cioè la psicoterapia è un percorso reciproco che i due, paziente e terapeuta, fanno. Necessariamente. Addirittura, non è un percorso unico, il viaggio della scoperta di sé del paziente accompagnato dal terapeuta, ma necessariamente anche viaggio di sé del terapeuta, interrogato dal paziente con le sue proiezioni inconsce. Proiezioni che sono immagini, bisogni e vissuti depositati nell’inconscio del paziente che deformano il suo dire e il fare e il suo essere e il suo relazionarsi nelle sedute terapeutiche.

Anche se viaggio condiviso, ma ovviamente con differenza di ruoli, di esperienza e di essere. E ognuno con la sua unicità.

In fondo l’incontro terapeutico è un vedersi reciproco nello specchio dell’altro che rimanda immagini di sé e del terapeuta, anche se inizialmente in modo confuso e ambiguo. Quindi un percorso di autoconoscenza reciproco, del “chi sono per te io” e del “chi sei tu per me”, pur con il rischio di imbattersi reciprocamente con immagini  falsate, riflesse e depositate nel nostro inconscio, che ognuno di noi si porta dall’infanzia senza conoscerle o conosciute in modo distorto.

In terapia non c’è uno che ascolta e l’altro che parla, ma c’è una relazione che mette in gioco storie, esperienze, ricordi del passato dimenticato e bloccato che viene rivissuto.

Percorso che non ha niente di miracoloso, non è una ricerca della verità nascosta, ma cammino faticoso, spesso accidentato, un fare i conti che non tornano, un affidarsi ad uno sconosciuto ritenuto capace di dare aiuto a un riscrivere una storia nuova di sé.

Un percorso fatto in un tempo lecito, senza cronometri, anzi, per me in un tempo libero da vincoli e schemi professionali, a costo di essere accusato di eresia. E’ un tempo dell’ascolto silenzioso, un tempo sospeso, lo definisco io, e lo pratico da sempre fin da quando ho iniziato la pratica della psicoterapia. Anzi raccomando ai pazienti di non avere altri impegni dopo la seduta, perché non ho un tempo di seduta prestabilito. Il tempo dell’ascolto non ha prezzo, né bisogno di tecnicismi, ma di vicinanza.

La ricerca del Graal è così un percorso interiore e non esteriore”.