Buon compleanno ad un Prof speciale – di Elena Rossi

21/09/2020
 
Buon compleanno ad un PROF speciale, di quelli che ti restano dentro
per ciò che ti hanno dato, per ciò che ti hanno detto.
Forse inconsapevolmente o forse, perché di te qualcosa avevano capito.
La maggior parte si limita all’esteriorità, alla loquacità e al risultato, non si spinge oltre …
Oltre quei silenzi,
oltre quegli sguardi spesso timidi e impauriti, c’è molto.
In ognuno c’è molto ed è paradossale che siano spesso i prof a non capirlo.
Ma d’altronde, ora adulti, l’abbiamo ben compreso
che non è da tutti leggere oltre.
A persone così speciali non si può che augurare sempre il meglio,
che sia un compleanno o che sia di continuare la strada con serenità e gioia. Grazie e ancora auguri Giuseppe
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Commento

Rispondo in pubblico ad Elena Rossi, visto che pubblicamente lei ha voluto esprimermi suoi auguri per i miei 78 anni. Avrei potuto ringraziarla in privato, ma non trattandosi solo di rituali auguri, e non solo di una sua esperienza scolastica, ma di una riflessione sulla scuola e sull’insegnamento, mi sembra doveroso seguirla pubblicamente nella sua riflessione.
Ovviamente non mi riconosco di essere stato speciale, di possedere chissà quale carisma particolare. Sono gli altri che si accorgono delle nostre qualità come dei nostri difetti. A me sembrava di essere me stesso, con i miei limiti e la mia sufficienza.
Devo dire che mi sono inventato naturalmente come insegnante, partendo dalla mia esperienza di alunno e studente, specialmente negli ultimi anni di liceo classico. Esperienza deludente, con insegnanti freddi, stanchi, delusi, distanti, con la severa disciplina e con la severa valutazione con i voti dal quattro all’otto. In classe bisognava stare zitti e muti e solo a domanda rispondere. Frequento Filosofia all’Università del Sacro Cuore di Milano e scopro il valore della pedagogia. Un mondo mi si apre e capire così che l’insegnamento scolastico praticato allora era, tutt’altro che insegnare (dal latino in signare, mettere, lasciare un segno), ma un apprendimento mnemonico, un travaso di informazioni acritiche dall’insegnante all’alunno.
Al liceo si distingueva per eccezione l’insegnante di letteratura italiana, giovane rispetto all’età media degli altri, che faceva la differenza per il suo modo di far lezione,  mai seduto in cattedra, spaziando dalla letteratura italiana a quella francese e quella siciliana.  Sentivi la passione, il fervore con cui spiegava e trasmetteva la sua conoscenza a noi studenti.  Da lui ho appreso il modo di far lezione, nel proporre come tema in classe argomenti di attualità dalle canzoni alle poesie, da articoli di giornali a testi di cultura varia, e su di essi gli alunni si sperimentavano ad  esprimere liberamente il loro pensiero senza paura di “andare fuori tema”. Posso riconoscere che ha lasciato in me il suo segno.
Così nel  1967 a 25 anni ho cominciato ad insegnare e riconoscermi in parte in quel lavoro innovativo e nuovo per me, passando dai banchi scolastici alla cattedra. Non so se con il tempo sono stato anch’io Prof Testimonianza, ma sono stato Prof del Nome, del nome che individua. Fin dall’inizio ho chiamato gli alunni con il loro nome, piuttosto che con il cognome. Il nome che definisce una relazione e ne riduce la distanza senza con ciò confondere i ruoli. Ho accettato che anche loro mi chiamassero per nome, ma solo il giorno dopo che non erano più miei alunni, ma solamente un tu che incontra un altro tu. Se sono stato un Prof che ha lasciato un segno, questo lo diranno gli “eredi”-alunni, ma devo pur dire che mi piaceva enormemente fare il Prof e che, pur potendo ad un certo punto della mia storia fare il lavoro che continuo a fare adesso, ho optato di restare a fare il Prof, fino a quando non sono più riuscito a far accendere gli occhi dei ragazzi, a trasmettere entusiasmo, a coinvolgerli e coinvolgermi in un lavoro appassionante. Qualche mattina ho anche improvvisato i contenuti da trattare e mi trasformavo in un narratore, in attore recitante e sentire i volti e gli occhi dei ragazzi calamitati dal racconto e alla fine sentirmi chiedere se era vero o tutto inventato, lasciandoli nel dubbio creativo. E tutto questo lo potevo fare solo al biennio, là dove il programma era scelto, costruito in libertà dall’insegnante. Non erano i contenuti che bisognava far passare e trasmettere, ma lo spirito critico, il desiderio di sapere e di conoscere, e il piacere di stare assieme. Allora, le gite di classe alternative, lo stare assieme in montagna in casa di qualcuno che rendeva la casa disponibile e vivere un pezzo di vita scolastica alternativo per due/tre giorni. Conoscersi era l’obiettivo, trovarsi, stare assieme, partecipare alla vita comune.
Ho mollato quando mi è venuta meno la passione di portare i ragazzi in montagna!
L’ultimo anno di insegnamento su richiesta del preside  insegno in una classe V.  Accetto anche con entusiasmo riprendere una quinta classe. Stessa metodologia, desiderio di sperimentarmi in una classe di alunni che si avviavano verso la “maturità”. Ricordo che riscontravo lo stesso entusiasmo negli alunni, specialmente quando dovevano misurarsi con lo svolgimento dei temi, che secondo loro erano innovativi e non scolastici. Trovo il tema di una ragazza molto bello per la sua creatività e libertà di esporre  i suoi pensieri ripspetto al titolo del tema prescelto. Faccio l’eccezione,  valuto il tema con un 8 (uno dei miei rari voti) e lo leggo in classe suscitando meraviglia e riconoscimento dei compagni. Meraviglia anche della ragazza, perchè negli anni precedenti con gli altri insegnanti arrivava appena alla sufficienza, perchè quasi sempre valutata “fuori tema”. E così per tutto l’anno scolastico. La rivedo alcuni mesi dopo l’esame di maturità, io ormai in pensione, le chiedo del tema di maturità, sconsolata e delusa mi dice  che era stato valutato quasi insufficiente “perchè sono andata fuori tema“.  Ho pensato che o ero io un divergente o gli altri arroccati nelle loro sterili certezze scolastiche.
 
Mi sono accomiatato dalla scuola, forse una fuga, quando è diventata un’azienda con tanto di dirigenti e dipendenti, o forse per il bisogno di sperimentarmi in una nuova professione, nuova vita, quella dello psicoterapeuta.
Così non ho avuto rimpianti di chiudere con l’insegnamento, ma mi è rimasta l’esperienza vitale della classe come luogo in cui si costruisce una classe di relazioni .
Non so se in qualcuno ho lasciato un segno, ma in quello che dice Elena di me sento che lei è stata segnata.
Grazie Elena