L’uomo senza legami di Zygmunt Bauman

  L’uomo senza legami

Zygmunt Bauman

[…] L’eroe di questo libro è Der Mann ohne Verwandtschaften: l’uomo senza legami, e in particolare senza legami fissi quali potevano essere i vincoli di consanguineità ai tempi di Ulrich. Non avendo legami indissolubili e dati una volta per tutte, l’eroe di questo libro – l’abitante della nostra società liquido-moderna – e i suoi successori sono oggigiorno obbligati a costruire qualunque legame intendano usare come ponte di collegamento con il resto dell’umanità ricorrendo alle proprie doti e capacità di dedizione. Slegati da tutto, essi devono connettersi … Nessuna delle connessioni usate per colmare il vuoto lasciato dai vecchi legami ormai logori o già spezzati ha tuttavia garanzia di durata. E comunque, devono essere legami «allentati », di modo che si possano sciogliere senza troppe lungaggini non appena lo scenario venga a mutare – e nell’epoca della modernità liquida ciò accadrà di certo, e ripetutamente.

L’estrema fragilità dei legami umani, la sensazione di insicurezza che essa incute e gli opposti desideri – stringere i legami e mantenerli allentati – che tale sensazione genera è ciò che questo libro tenterà di rilevare, illustrare e interpretare.

[…] Il principale eroe di questo libro è la relazione umana, mentre gli altri protagonisti sono uomini e donne, nostri contemporanei, disperati perché abbandonati a se stessi, che si sentono degli oggetti a perdere, che anelano la sicurezza dell’aggregazione e una mano su cui poter contare nel momento del bisogno, e quindi ansiosi di «instaurare relazioni» ma al contempo timorosi di restare impigliati in relazioni «stabili», per non dire definitive, poiché paventano che tale condizione possa comportare oneri e tensioni che non vogliono né pensano di poter sopportare e che dunque possa fortemente limitare la loro tanto agognata libertà di… sì, avete indovinato, di instaurare relazioni.

Nel nostro mondo di individualismo rampante, le relazioni presentano i loro pro e contro. Vacillano costantemente tra un dolce sogno e un orribile incubo, e nessuno può mai dire quando l’uno si trasforma nell’altro. Quasi sempre le due manifestazioni coabitano, sebbene a diversi livelli di coscienza.

In uno scenario di vita liquido-moderno, le relazioni sono forse le più diffuse, acute, sentite e sgradevoli incarnazioni dell’ambivalenza. E questo è il motivo, si potrebbe sostenere, per cui sono saldamente al centro dell’attenzione degli individui – per-decreto dell’era liquido-moderna e forse al primo posto nella loro agenda di vita.

 Oggigiorno quello delle «relazioni» è l’argomento sulla bocca di tutti, ed evidentemente l’unico gioco cui valga la pena di partecipare, nonostante i noti rischi che comporta. Alcuni sociologi, adusi a confezionare teorie in base a statistiche tratte dai sondaggi d’opinione e dalle banalità in essi registrate, balzano subito alla conclusione che i loro contemporanei sono tutti alla ricerca di amicizie, legami, aggregazione, comunità.

[…] Non sorprende che le «relazioni» siano uno dei principali motori dell’odierno «boom delle consulenze». La complessità è troppo densa, troppo ostica, troppo difficile da sbrogliare perché gli individui possano farcela da soli. L’agitazione dei topi di Miller e Dollard si trasformava fin troppo spesso in paralisi. Un’incapacità di scegliere tra attrazione e repulsione, tra speranze e paure, che si rifletteva in un’incapacità di agire. A differenza dei topi, gli esseri umani che vengono a trovarsi in tale condizione possono chiedere aiuto a degli esperti in materia pronti a offrire i loro servigi; a pagamento, s’intende. Ciò che essi sperano di sentirsi dire dagli esperti è come far quadrare il cerchio, come avere la botte piena e la moglie ubriaca, come godere delle gioie della relazione senza doverne ingoiare anche i bocconi amari; come costringere la relazione a dare senza prendere, a offrire senza chiedere, ad appagare senza opprimere.

Dal canto loro, gli esperti sono ben felici di prestare aiuto, sicuri del fatto che la domanda dei loro servigi non si esaurirà mai dal momento che non esiste mole di consigli, per quanto imponente, che possa trasformare un cerchio in un quadrato … I loro suggerimenti abbondano, sebbene quasi sempre facciano poco più che elevare la pratica comune al livello della conoscenza comune e di elevare quest’ultima al livello di erudita, autorevole teoria. I riconoscenti destinatari dei consigli sfogliano avidamente le rubriche «affari di cuore» di mensili e settimanali patinati o dei supplementi ai quotidiani seri e meno seri, per sentire ciò che sperano di sentire da chi «se ne intende» essendo troppo timidi o vergognosi per sostenerlo in prima persona; per ficcare il naso nelle faccende di «altri come loro» e trarre un qualche sollievo dalla consapevolezza confermata-dagli-esperti di non essere soli nei loro solitari tentativi di superare le difficoltà.

E così i lettori imparano, attraverso l’esperienza di altri lettori riciclata dagli esperti, che potrebbero tentare di imbastire una «relazione tascabile» che si può «tirar fuori all’occorrenza » e quindi rificcare in tasca quando non serve più.

Zygmunt Bauman, Amore liquido, Presentazione, pagg. V -IX

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Commento

La verità che tutti conosciamo è che ci sono sempre state, almeno nella società in cui abbiamo vissuto, relazioni con legami forti e relazioni deboli e, stando nell’ambito familiare, famiglie dispersive e famiglie aggreganti, famiglie che si cercano, si riconoscono, e famiglie estranee, con legami deboli o conflittuali. Se una volta nelle famiglie, erano presenti paticolari legami intergenerazionali, i riti familiari, che rinnovavano di volta in volta le relazioni di appartenenza, le comuni radici di più famiglie, tutto questo si sta sbiadendo sempre più nello scenario sociale che stiamo vivendo. Certamente è un fenomeno sociale complesso, un modo di vivere sconosciuto alla generazione dei nostri nonni, abituati a regolare il tempo e la vita secondo l’avvicendarsi delle stagioni.

Ma chiediamoci cosa vuol dire per l’esperienza familiare questo vivere in un tempo accelerato, per l’dentità di una famiglia, e più in generale per tutti noi, il modo e il senso di vivere la vita, svuotata di valori esistenziali millenari e con legami deboli? Certo non è il caso di rimpiangere i pesi, gli obblighi, le disuguaglianze, “i pesi ingombranti degli Ideali, ma è anche l’epoca della vita alla deriva, caotica, spaesata, priva di punti di riferimento, destabilizzata, smarrita, vulnerabile; della vita che si rifugia in identificazioni solide o che si dissipa in legami liquidi con l’oggetto del godimento[1]

E che ne è, in tutto questo, della relazione, protagonista di questo scenario e di questo racconto, come ci ammonisce Bauman? Del bisogno innato fin dalla nascita di appoggiarsi, di sentirsi sostenuto, di poter contare su un altro che ti sta vicino e che si prende cura di te? È ancora un bisogno cercato o si insegue i’aspirazione illusoria dell’autosufficienza, del bastare a se stesso? La relazione è un noi che vale più di uno, fa unione e forza nell’affrontare le difficoltà del vivere, perché:

Due sono meglio di uno perché hanno                                                                                                    una buona ricompensa per il loro lavoro.                                                                                       Perchè se cadono, l’uno rialzerà il suo                                                                                                      compagno, ma guai a colui che è solo                                                                                                     quando cade e non ha altri che lo rialzi.                                                                                                 Ecclesiaste (4,9-12)

Ci si sta abituando invece ad una relazione “liquida”, come ad un oggetto usa e getta a seconda delle circostanze e le convenienze, tutti “ansiosi di «instaurare relazioni», ma al contempo timorosi di restare impigliati in relazioni «stabili”. La spinta all’autoaffermazione di sé, a proiettare una spasmodica immagine di sé capace ed efficiente come richiede l’organizzazione del lavoro, a negare i propri limiti e le proprie fragilità, di fatto è una nuova lotta di sopravvivenza che sancisce la fatica di essere se stessi e vivere sempre più in solitudine. Tutte condizioni che favoriscono negli ultimi decenni l’esplosione della psicopatologia dell’ansia e della depressione, diagnosticate con superficialità e curate in modo massiccio con psicofarmaci. A fronte di questo stato esistenziale di confusione e di insicurezza del proprio saper essere e saper fare, è scesa in campo una moltitudine di nuovi terapeuti e di nuove scuole di formazione a caccia di clienti a cui insegnare il saper fare familiare e genitoriale, anche se si sa che “non esiste mole di consigli, per quanto imponente, che possa trasformare un cerchio in un quadrato”

[1] Corrado Pontalti, La nostalgia dei legami e il vuoto esistenziale: fenomenologie depressive nella civiltà ipermoderna.- Terapia Familiare n. 94 novembre 2010