Quando la relazione si blocca

Giuseppe Basile

Quando la relazione si blocca

Giuseppe Basile

 Sottostante al fenomeno dello stallo relazionale c’è la pretesa di conoscere l’altro e se stessi. Frequente è il modo di dire, specialmente nelle situazioni conflittuali: “Io so già come la pensi”, “Io so già chi sei”, “Io son fatto così” come se avessimo la testa di cristallo e vi si possa vedere quello che c’è dentro.

Ma non è così, l’altro (padre, madre, marito, moglie, figli) con cui siamo in relazione rimane, nonostante la conoscenza che ne abbiamo, uno sconosciuto, e anche noi sconosciuti a noi stessi. Possiamo solo tentare di spostare il limite della conoscenza un po’ più in là ogni volta, specialmente quando la relazione con l’altro o con noi stessi perde la sua funzione di benessere o quando troviamo difficoltà con l’altro che ci sta a cuore.

Si impone allora il “Perché” del padre della parabola di Luca, perché l’altro, il figlio, ci appare diverso, sconosciuto nei suoi modi di comportarsi e di relazionarsi. Lo stesso “Perché” si impone alla figlia/o per poter capire la relazione che lo lega al padre/madre, prima che si rompa definitivamente.

È possibile un nuovo punto di incontro ad un livello superiore rispetto a prima? È possibile dare un senso, un significato a modi di essere e comportamenti relazionali che debordano dalla linea, dalla norma finora conosciuta. Ha un senso il caos, l’imprevedibilità in cui sembra essere precipitata la relazione?

Possibile, sì, anche se non tutto è conoscibile. Non si tratta di ricorrere a maestri, ma cominciare a fare quello che fa il figlio della parabola lucana: il rientrare in sé stessi, anche se dice Freud che non siamo però padroni nemmeno in casa nostra. Bisogna essere capaci di fermare il tempo dell’affaccendarsi per fare spazio al tempo del silenzio, sgombrare la mente per un momento dai fardelli della quotidianità. E’ anche per questo che sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, dove gli antichi greci si recavano per trovare risposte ai problemi, era scolpito in grande e come ammonimento: “Conosci te stesso“, che, tradotto, vuol dire che le risposte che cerchiamo son dentro di noi, se riusciamo a conoscerci.

Mi piace ripetere alle persone che si affidano a me per una terapia che il tempo della seduta è un tempo sospeso, un tempo dell’ascolto, volutamente un tempo lungo per fare spazio dentro di sé, prendere contatto con se stessi e con l’altro presente o assente con cui si è in relazione.

Rimettersi in gioco nonostante le difficoltà e le ferite subite può apparire arduo, e spesso lo è, ma se c’è amore, rifiorisce la speranza e la fiducia di poter contare ancora sull’altro.

Altrimenti il solco che separa sarà sempre più profondo e inevitabilmente crescerà il silenzio della comunicazione.